Premiati VIII° ed. – Sezione Prosa

1º PREMIO: SIMONA DI BENEDETTO – “La pizza bianca”
“Un viaggio alle origini della propria esistenza, che passa attraverso odori, sensazioni vibrazioni, che riconducono alla stazione di partenza e la pizza bianca si trasforma in una madeleine, al fine di aiutare a ricercare il tempo perduto dell’infanzia. Prosa sgombra gli orpelli retorici e perciò autenticamente coinvolgente.”
Si alzava di mattina presto con il profumo solito del solito panificio. Si stropicciava gli occhi in quelle lenzuola che sapevano di sapone naturale, fatto di lardo e lavanda. Le campane rintoccavano un orario impreciso, percettibile a tratti dall’udito ovattato. L’odore era proprio quello del sabato mattina, di Iolanda che impastava con le mani callose esperte e quell’olio profumato, di oliva e di frantoio, quell’odore inconfondibile. Un misto di odori e sapori che si collegavano alla mente, alla bocca e al naso in un unisono familiare. Quel sapore era attaccato alla pelle e Marta lo portava sempre con emozione. Lo cercava ovunque. Un giorno era in centro città e vide una pizzeria. Comprò un pezzo di pizza bianca e l’ infilò nella borsetta. Si affrettò al bar accanto, si sedette ad un tavolino all’esterno e chiese un bicchiere di latte intero caldo.
Cominciò a mordere la pizza con quella speranza di riavere quel sapore che sapesse di cortili affollati, di nonne in piedi, di padri al lavoro, di Iolanda, di stradine echeggianti, di panni appesi ai balconi, di risate e notti calde, di giochi alla corda, di caffè bollenti, di felicità senza nome, di semplicità, di vita. Chiuse gli occhi e appoggiò le labbra alla pizza, poi bevve il latte e tutto tornò all’origine, a quelle strade, a quel sapone di lardo e lavanda, a quegli urla nelle piazze e a lei, si, soprattutto a lei.
2º PREMIO: ALESSANDRA MANFROI – “L’abbraccio”
“La radice delle radici, il rapporto archetipico madre- figlia, in un’infanzia senza fine, è veicolata nel percorso dei sensi e dello spirito degli oggetti del tempo passato, reso in tutta la sua intensità da flash back color seppia di notevole efficacia letteraria.”
Anche io sono stata piccola, sai bambina mia? E della mia antica casa ricordo solo i colori. Ma è lì che ritorno quando mi sento triste. Ripercorro le piastrelle giallo ocra del corridoio, osservo la loro perfetta geometria esagonale. Le tende di lino color panna si muovono lentamente, accarezzandomi. Il legno in noce delle porte sembra scaldarmi nell’attraversarle. Poi, finalmente, arrivo in cucina: la sedia a dondolo è accanto alla finestra, seduta c’è mia madre e accoccolata tra le sue braccia una bambina, io, che prende il latte. In silenzio, madre e figlia, pelle contro pelle, occhi negli occhi. Quel tenero abbraccio materno, il ricordo più nitido ed etereo della mia vita. È lì che ritorno quando mi sento triste: dentro quell’abbraccio, quel gesto, quello sguardo, è racchiuso l’intero mio universo, il senso dell’amore.
3º PREMIO: GRAZIA D’ALTILIA – “Una motoretta rossa”
“La ricerca nel passato delle ragioni del presente sa caricarsi di silenzi, dell’amore antico, essenziale, ermetico, nudo e perciò Vero del genitore. I sentimenti più profondi passano attraverso un gesto, capace di dimostrare il bene assoluto. Con quanta partecipazione emotiva questo racconto esprime tale epifania! ”
Un salto all’indietro. Così lungo da atterrare negli anni della mia infanzia.
La prima volta non fu intenzionale.
Il ricordo riaffiorò come uno scoglio dalla bassa marea. Con naturalezza. Poi, presi a cercarlo, quando mi resi conto che era la risposta ad una mia domanda. Quella che rivolgevo a mia sorella ogni qualvolta degli auguri d’occasione richiedevano un abbraccio con mio padre.
Papà ci vuole bene?
D’istinto aggiungevo: ha un carattere davvero chiuso, per giustificarlo e trasformare il suo tocco discreto e fugace in una prova di puro affetto.
Quel ricordo segnò quasi una svolta. Si scioglieva in una sequenza di immagini.
Una motoretta rossa. Io e mia sorella, una dietro l’altra. Alla guida mio padre. Un giro di pochi chilometri, la domenica, quando tornava dalla fabbrica. Era esausto ma per noi resisteva alla stanchezza.
Ci diceva di tenerci strette. Null’altro.
Da allora, poco altro ha sostituito il giro in motoretta. E lui è rimasto di limitate parole.
Ma è uno scoglio a cui mi aggrappo. Conferma il suo bene, quasi ibernato dal nostro divenire donne. Ed io lo colgo, adesso, nell’imbarazzo della sua timida stretta mentre sveglia, in me, quel profondo sentimento che non conosce età.
MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA: MARILENA BRONDA
– “Insieme fino alla fine”
“Il gioco di specchi letterario, che genera contraltari cronologici e pone di fronte il sè adulto del presente e quello bambino del passato è reso attraverso una prosa curata, capace di veicolare con intensità esperta considerazioni ed emozioni derivanti.”
Amo l’allungarsi delle giornate perché una volta significava tempo extra per giocare con te. C’erano tanti bei giochi da fare insieme ma il mio preferito, e persino temuto, era quello dell’eroe: nonostante mi scagliassero contro sassi e dardi, nonostante mi facessero male, tu eri lì a proteggermi dalle ferite mortali e, trionfante, ti ergevi sopra i nemici canticchiando la fanfara di vittoria con sguardo beffardo. Un giorno mi dicesti che, purtroppo, quel gioco si chiama vita e se ci colpiscono dobbiamo essere bravi a non lasciarci sconfiggere altrimenti il Game Over è per sempre. L’unico svantaggio era che tu, a differenza mia, stavi crescendo, ma mi assicurasti che l’avresti trasformato in vantaggio per creare lo scudo dell’invincibilità più potente, al fine di proteggerci a vicenda, per arrivare insieme all’arrivo. “Insieme fino alla fine!” mi dicesti. Col tempo, però, ti dimenticasti di me, di cosa significa affrontare questo gioco con quel pizzico d’incoscienza e leggerezza che ci aveva accompagnati dalla nascita. I nemici mi stanno facendo del male come mai prima d’ora e stanno vincendo, perché il dolore si ripercuote su entrambi. Ma gliel’ho detto: un giorno verrai a salvarmi, e saremo più forti di prima. Ti aspetto.
Te bambino.
PREMIO RADICI E TERRITORIO PROSA: CELESTINA CAROFIGLIO “Serata magica”
Il mio impresario mi annunciò che avrei cantato a Cagnano Varano. Ebbi un tuffo al cuore!Presi l’album delle fotografie e ne osservai una: la mia famiglia a Cagnano. Ricordai le estati passate in quel paesino e nelle meraviglie del Gargano, ospiti degli zii. Sentii il profumo ed il gusto delle more appena colte. Ricordai il sapore del mare del Gargano e la piacevolezza di affondare la mano, per trovarci telline. Rividi con la memoria il lago Varano. Che meraviglia! Gli zii non c’erano più e neanche i miei genitori. Arrivammo alle tre del pomeriggio! Vidi subito l’arco che noi bambini attraversavamo per raggiungere la casa della zia. Il quartiere Cavuto!Ecco come si chiamava! Avrei cantato la sera per i vicoli. Che emozione! Quanti ricordi! Percorsi le stradine e giunsi alla casa della parente. Era tutto chiuso. Una signora si affacciò. Ricordava benissimo la zia e anche i miei genitori. Una parte della mia vita si ritrovava. La serata fu splendida! Le stelle illuminavano le viuzze, bardate a festa. Una Cagnano, come non me la ricordavo! Alzai gli occhi al cielo! Fu come un lampo! Tra le stelle rilucevano i volti dei miei parenti, che mi guardavano amorevoli!
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