Premiati XI° ed. – Sezione Poesia

1º PREMIO: “Echi di Transumanza” di Marco Laratro

E’ ruga antica : polvere di un tempo
con volti e musi, e fiati di fatica
insieme tesi , ignari del futuro,
a méte erranti di stagioni amiche.
E’ stato, quello, -ed ancor è- il trattùro.
Il solco, fra Gargano e Tavoliere
calando dall’Abruzzo verso il mare,
torna ad aprirsi a abbracci di memorie.
E nel belato mite degli armenti
rivìbran gli echi di una transumanza
di corpi voci odori sentimenti.
Taci. Da canne d’organo di ulivi
va l’elegia di un canto sparso al vento.
Senti. Scìvola in rivoli di cera
l’olio dorato, a carezzar bruciori
anche di cuore. Ma nel curvo grembo
di botti, il vino in ribollìi d’ardore
cela voci sofferte di radici.
Neri, alle dita, i solchi d’una croce
segnati di sforzo e sudore .

E torna il seme del connubio eterno
fra l’uomo, il cielo e la materna terra,
nei barbagli di grano, nei rossori
di pomi accesi al sole; nei filari
dove aleggia pulito il respiro
fresco e antico di amiche verzure.
Consumò giorni e sensi, la vita :
ma in noi il lavoro è prece di natura ;
fede e bisogno; è orgoglio e amore.
E’ sempre.


2º PREMIO: “La mia creazione e Dio” di Davide Rocco Colacrai

(dedicata agli angeli senza ali che ci aspettano nei canili)

Sono un batticuore d’ombra a filo della polvere,
figlia di una notte che arranca lungo imposte addormentate in punta di piedi,
il freddo a mordere il mio asse,
il silenzio che si gonfia in un vuoto a pelle
nel desiderio di una mano,
le vertebre strette come piccoli cuori
a segnare i miei ossimori,
addosso brividi che mi percorrono come frammenti di lucciola e d’inferno
nello schiudersi a una rosa di sconforto

sono sospesa in un fazzoletto
con cui Dio non riuscirebbe ad asciugare tutte le sue lacrime per noi,
di cemento e assenza, d’argilla umida di noia,
un mare che liscia il grembo di costellazioni sfuggite
col mondo compresso nello spazio
tra una nostalgia e l’altra,
ricorda il cielo in quei giorni in cui si arrabbia e sporca i colori,
crea sentieri senza sogni
nella pietà crocifissa dalla pioggia

le ore si condensano in un soliloquio con gli angeli
di là dai confini che nutrono i miei occhi,
è un respiro che tace
come tace la parola degli anziani nel grattare l’azzurro della luna,
le mie ossa ricordano le attese
che l’orizzonte costringe a rami infermi
quasi a tracciare il profilo in corsivo della mia prigione
e della mia fortuna.

Sono un batticuore d’ombra a filo della polvere,
tra ragnatele di stelle
a predire la mia creazione come punto interrogativo all’infinito

sulla punta della coda, la mia ultima preghiera.


3º PREMIO: “Filastrocca dei trent’anni” di Federico Marcelli

«Trentenne di cera che guardi
inerme il tuo breve passato,
immobile i pochi traguardi
cui il caso ti avrà destinato,

qualcosa t’ha smosso: cos’era
quel battito di meraviglia?
Cos’era, Trentenne di cera?»
«Mia figlia, soltanto mia figlia.

È bella mia figlia, ma è sorda:
le accenno un futuro di cera;
lei scivola, salta la corda
e conta le nuvole e spera.

Le chiedo che ascolti più attenta
la fiaba reale e stravolta
che inizia felice e contenta
finendo con: “C’era una volta…”

La fiaba in cui il lupo ha la forma
del tempo che scorre perenne,
che orma su orma su orma
trasforma la bimba in trentenne.

Mi ignora. Ma già da due giorni
giocando canticchia l’adagio:
“Bel lupo, perché non ritorni?
Bel lupo, non eri malvagio!”

Le insegno a non piangere, quando
vedrà che è colata la sera.
Lo ignora, ma sta diventando
un’altra trentenne di cera»


MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA:

– “Melanconia” di Roberto Patruno

Madre,
come ferite aperte
mi tagliano il respiro
le parole non dette,
le mie,
in risposta alle tue
regalate con gli occhi,
quando mi guardavi,
ogni volta,
nel tuo silenzio
colmo di sognante tristezza.
Dove sei ora, madre?
Che io possa
parlarti di quell’amore
mai confessato,
ricambiando il tuo sguardo
con una fugace carezza.

– “Dentro di te” di Adriana Ostuni

E se a volte ti capita
di cadere in un fosso
d’incappare in un vicolo cieco
e pensare che non esista
una via di sbocco
è soltanto per mostrate a te stesso
che invece la strada c’è
che è dentro di te
e che puoi riparare da lì
voltando le spalle a quel muro
a quell’incavo scuro
risalendo la china del vallo
lambendo lo spiraglio
che guida a un sentiero più ampio.
Più denso. Di luce. Di senso.


RADICI E TERRITORIO:

– “La congiunzione” di Maria Zimotti

Ora che si sta avvicinando il giorno del ricordo

non voglio l’ultimo ma il primo:
l’alba di un mattino nel sud
una madre cammina
nel silenzio millenario della vallata,
in braccio la bambina per farle respirare
aria pulita per la pertosse.

Negli ultimi giorni della vita invece
l’inconscio aveva preso il sopravvento
Nel ricongiungimento con altri mondi
le sue parole vere
erano per l’esperienza principe:
il dolore che dà la nascita di un figlio

Ed io, la prima, la sua estensione

ho chiaro in questo pomeriggio d’estate
che sarebbe dolce morire in questa casa
che ha visto le stagioni più felici.

Tutto compiuto,
tutto raggiunto

poi continueranno a giocare, a far festa,
ridendo nel ricordarmi ogni tanto,
entrata a far parte degli aneddoti degli avi.

Vedranno ancora l’alto pioppo
che io vedevo da bambina

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