Premiati XII° ed. – Sezione Prosa

1º PREMIO: L’ARDUO CAMMINO – Fernando Loretti

L’ampia scalinata bianca è attraversata dal chilometrico tappeto vermiglio posto al centro. Le luci sono in posizione, la massa in delirio, la musica in furore: si va in scena.
Appaio in cima alla scala. Applausi. Fasci di luce colpiscono le payette dorate sul mio vestito e si estroflettono sulla folla, in una stroboscopica danza di astri fiammeggianti. Sorrido, pizzico i lembi del lungo vestito, lo sollevo: comincia la discesa. A ogni scalino superato ripercorro all’inverso l’arduo cammino. Raggiungo l’ultimo gradino. Tocco il fondo. Giornalisti.
«La prego, può fare una piroetta davanti alla telecamera?»
Decido di soddisfarlo.
Alzo la gamba sinistra, la destra inizia a ruotare. E giro e giro e giro e… non riesco a fermarmi. Le luci si fondono in un cielo grigio, l’urlo della calca diventa un rombo di motori che sfrecciano. Anche il tono del giornalista muta.
Inchiodo i piedi nell’asfalto umido di una piazzola di sosta, piove, un camion è fermo davanti a me. Cosce bagnate in calze a rete strappate – gli effetti della roba iniziano a svanire – il camionista mi sorride.
«Ehi bella, sali su!»
Decido di soddisfarlo.
Ripercorrerò infinite volte l’arduo cammino, fosse anche solo per qualche altro grammo di felicità.


2º PREMIO: L’ALBERO – Francesco A.P. Saggese

Non c’eri a casa tua, ma sapevo dove trovarti.
I miei passi, uno dietro l’altro, hanno attraversato una stretta mulattiera di campagna.
Foglie d’erba si sono attaccate ai miei pantaloni, quasi a rallentare il mio cammino, fino a quando hai preso forma nella luce bianca di un pomeriggio d’inverno.
Le tue ginocchia erano piantate nella terra come radici, le tue braccia si allungavano su di essa come rami, le tue mani danzavano mentre raccoglievano olive dal colore della notte, battute a terra dai venti o scappate all’intreccio delle reti che i contadini avevano disteso sotto gli alberi.
Una ad una le riponevi in un cesto di vimini, che ora ho qui davanti a me, appeso ad una parete di casa, come un calendario che segna il tempo.
Mi sono messo di fianco a te, inginocchiato anch’io, le mie mani lisce vicino alle tue, solcate come foglie di antiche primavere.
«Raccogli quello che è caduto», mi hai sussurrato.
Albero tra gli alberi, madre di madre, mi insegnavi a stare nel mondo, mentre cominciavo a cercare parole, come quelle tue, tra le pagine distese di libri in fila in una libreria, e che ancora non ho trovato.


3º PREMIO: IO, SONO GLI OCCHI DI MIA MADRE – Incoronata Renata Grifa

Madri, e fuori di noi donne. Le abbiamo mai pensate cosi?
La guardo mentre ignara passa il filo nella stoffa di seta blu, la guardo e non vedo più solo mia madre, la vedo lontana, anch’essa ragazza, sospesa in un tempo dove essere donna voleva solo dire obbedire, obbedire per andare avanti. Io li vedo quegli occhi pieni di coraggio che sapevano sognare, che blu come quella stessa stoffa volevano cambiare.
E poi? Cosa succede quando il tempo passa e la vita non cambia? Succede che resta il coraggio di diventare mogli, madri e restare donne al di là tempo.
Nessuna storia straordinaria, nessun trofeo da esibire. Lei che la scuola non si poteva e dentro urlava.
Ma adesso la stoffa si muove, riflette nello specchio e con lei rifletto anch’io e li vedo quegli occhi che mi fissano e mi dicono “tu, non essere solo figlia, cambiala questa vita, fallo quello che non ho potuto fare io, tu puoi”. Io posso? La stoffa blu nasconde la paura di non averlo quel coraggio ma gli occhi no, gli occhi sono i suoi, sono i miei, sono io, gli occhi di mia madre.


MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA

La risposta – Lucia Fabrizi

Teneva in mano il cellulare, lo sguardo catturato dallo schermo, col capo chino, seduta su una panca della stazione.
La sua voce interna prevaricava gli annunci all’altoparlante leggendo in “whatsapp”:
“Ciao. Ti trovo molto bella, vorrei conoscerti. Se non mi rispondi, scomparirò, altrimenti, ti dirò chi sono”.
Non sapeva se cedersi alla preoccupazione, allo scetticismo, all’ilarità o a quel solletico leggero generato dall’apprendere, nel mistero, di esercitare ancora fascino. La mezza età stava trasformando il suo corpo, distendendo orizzontalmente le sue rotondità in un insieme poco tonico e tendente al suolo. È per prepararsi a ritornare alla terra, pensava nelle sue pause filosofiche. Ed ora il dilemma: cosa le andava di fare?
Rispondere, oppure tacere e dimenticare?
Viveva sola ed era stanca. Poteva, tuttavia, fidarsi di una persona che non sapeva chi fosse e come avesse avuto il suo numero?
Ecco il mio treno.
Controllò il tabellone sopra il binario per esserne certa. Le fece bene sollevare lo sguardo: vide altre persone in viaggio, molti diversi colori ed età. L’urlo stridente dei freni, le voci intorno, la concretezza del suo corpo che cercava spazio nel vagone. Si sentì presente, grata.
Scomparirai perché non sei Presenza. Questa la risposta.


La voce di Virginia – Costantino Piemontese

Una vita! -, urlo a squarciagola.
Sono una donna. Ma per lui solo un bell’oggetto di cui vantarsi, per specchiarsi alla vacuità di superuomo.
Mi violenta.
Sento poi la sua lama dentro di me, che penetra l’addome, o affonda nei polmoni; sento l’urto violento del coltello contro le vertebre, o il colpo che si conficca nella gola dopo aver reciso la vena vitale.
Ho la gola squarciata. Nessuno può udire la mia voce.
Non posso emettere neanche un gemito.
Sono morta.

Dicono che una volta morti si smetta di soffrire, privati della dimensione corporea che rende sensibili a dolori e patimenti.
Sento invece che lui seguita a tagliare squarciare sventrare.
E quando non ho saziato l’assassino, sento che altre lame si affannano su di me, segandomi, mutilandomi, sezionandomi.

Il mio grido è per voi che accettate di vivere con un uomo possessivo, prepotente.
Un egotista narcisista cui donate la vostra vita, disposte ad ubbidirgli, a soddisfarlo; convinte di poterlo cambiare.
Quest’unione vi lega alla sua violenza. E vi sottrae il piacere di una vostra vita.
Non potete udire la mia voce, ma ascoltate le mie parole: una Vita per ciascuna di voi. Donne.
Come io la desideravo. Per me.


PREMIO “GIOVANE SCRITTORE”

Il Nonno e la transumanza – Gabriele Kalinowski

Era un tipico giorno estivo, stavo facendo i fatti miei, ero pensieroso, mio nonno chiede:- Cosa c’è Gabri?
Io gli rispondo che sto cercando un’idea per il mio tema sulla transumanza.
Allora nonno mi dice:- “Trs ind a macchina” ovvero entra in macchina. Titubante entro, pensavo, chissà cosa avrà in mente… entro in macchina, e lui mi porta davanti a un monumento che si chiama Epitaffio, così il nonno comincia a parlare della transumanza, lo credevo ignorante in materia, ma lui comincia a raccontare:- “Vedi Gabri, questo è l’Epitaffio, un vecchio tratturo, qui i pastori venivano soprattutto dall’Abruzzo e dal Molise. Vedi quella statua sull’Epitaffio tutti credono sia Filippo IV invece gli scienziati dicono sia Carlo II.
So anche che i molisani ovvero a quel tempo i Sanniti combatterono contro i Romani proprio per via della transumanza.
Gabri ti prometto che un giorno ti porto davanti a uno dei pochi tratturi senza case attorno, si trova in una valle tra San Giovanni e Monte Sant’Angelo chiamato Campolato. Disse nonno fiero di sé!
Poi una settimana fa nonno mi portò a vedere la vera transumanza che si fece a Troia cittadina in provincia di Foggia, lì c’erano pastori che venivano dall’Abruzzo, dissero di aver percorsero 5 regioni e io gli chiesi di come avessero fatto a non perdersi, scoprii che c’è una mappa, molto complessa ma molto funzionante. La mappa percorre tratturi che vanno dall’Abbruzzo fino a Taranto, pensate che è stata fatta nel 1911 dal Comune di Foggia per lo Stato D’Italia!
Ci sono precisamente 94 tratturi nella mappa! Tanti tratturi sono Patrimonio dell’Unesco.
E niente grazie tante a nonno Matteo perché senza di lui non avrei scoperto il viaggio attraverso la transumanza…

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