Premiati V° ed. – Sezione Ragazzi

Primo premio: Ludovica Rosciani e Lorenzo Morbioli

Secondo premio: Antonio Manicone 

Terzo premio: Alessia Tricarico

1. Ludovica Rosciani e Lorenzo Morbioli – «Era la prima volta che…»

Affiorava nei miei pensieri di fanciulla l’idea di scorgere tra la vegetazione le anime palpitanti che popolano la natura.
Arriva l’inverno con il suo algido mantello, forte e maestoso sovrasta il cielo, ogni anima si piega al suo cospetto, ogni ramo cede al suo soffio e miti attendono il dolce risveglio…..
Come d’incanto timide creature escono dalle tane, impazienti di un tiepido raggio di sole, inebriate da un candido profumo di peschi in fiore: è la primavera, che con il suo manto cosparso di fresche gemme, risveglia dolcemente la flora e la fauna.
Ed ecco, tanti diamanti illuminano la notte, il sapore delle tiepide serate, rumori di fragorose risate, il risveglio dei cuori, la rinascita delle emozioni…… è lei, finalmente, l’estate!
Avanza lievemente con il suo soave tabarro ornato da caldi e rassicuranti colori e, con uno spirito di festa, trasmette gioia ed armonia.
Ad un tratto arriva camminando, lascia sul suo cammino la scia delle foglie secche e prive di vita, strappate dagli alberi ormai tristi e spogli.
L’odore del mosto d’uva rianima vivamente le strade, il rosso tramonto e la brezza autunnale, impetuoso l’autunno trascina con sé l’ultimo timido spiraglio di sole, ricoprendo la natura con un velo  freddo e scuro.

Era la prima volta che……..
La natura nella sua completezza appariva ai miei occhi.
Il tempo come un vecchio stanco ha bloccato il rincorrersi delle stagioni e come in un girotondo le vedo danzare, meraviglia del creato.
Un susseguirsi di palpiti mi lacerava il petto, di scatto mi svegliai da quell’incanto con l’amarezza nel cuore di non aver vissuto appieno i momenti che quel sogno mi aveva regalato.
Come per magia finiva l’avventura che mi aveva donato emozioni contrastanti ma allo stesso tempo intense e profonde.
Una maturità si era sviluppata in me facendomi capire cosa di bello c’è rimasto del paradiso.
Era la prima volta che……
Il sospiro della natura soffiava tra le mie dita e la consapevolezza di esserne parte avvolgeva le mie membra, ora agogno quegli istanti magici indispensabili per la mia fame di serenità.

2. Antonio Manicone – «Era la prima volta che…»

Era la prima volta che in una fresca giornata di Giugno dell’anno 1962, risalente con precisione al giorno 30, a Canneto si celebrava un antico rito: la giornata del pane.
Verso le quattro del mattino, le case avevano una parete rossastra, illuminata dal fresco sole dell’alba di fine Giugno. I muri erano sporchi da tanto, ma quel nerume a strisce elicoidali per lo scolo dell’acqua, quella patina mucosa sotto le grondaie, si erano diffusi rapidamente per tutte le facciate delle costruzioni presenti in Canneto.
Si dice che, agli inizi dello scorso secolo, la zona di Canneto fosse più popolata del piccolo paesello di Vico del Gargano. Questo fantastico luogo, situato esattamente tra la collina di Vico e il paesino portuario di Rodi, immerso tra le piccole ma fruttifere vallate, tra i profumi degli agrumeti, tra la frescura delle zone ombrose, era il posto più amato e vissuto dai contadini, agricoltori, religiosi e studiosi garganici. Non a caso molti abitanti di Vico avevano una piccola abitazione in Canneto, spesso a ridosso di una piccola o grande proprietà terriera.
Immersa tra gli oliveti e gli agrumeti, lontana dalla brecciosa strada principale sorgeva una plurifamigliare a due piani. L’unica, o meglio, tra le poche case di Canneto ad avere all’esterno un forno.
Si aprì la porta principale dell’abitazione e tomo tomo, piano piano, ne uscì un uomo.
Era alto, capelli castani, indossava abiti da lavoro, da agricoltore; sulla rude mano destra aveva una sacca di pelle dalla quale sporgeva il legnoso manico di una zappa, mentre tra le callose dita di quella sinistra stringeva un sigaro cubano.
Lui era Giuseppe Manicone, facoltoso agricoltore vichese, marito della bellissima carpinese Vittoria Palmieri, già genitori del giovane Carlo Manicone. Un’illustre famiglia, ben rispettata e rispettosa, amica di tutti.
In quella mattina, Giuseppe stava andando al lavoro, doveva raccogliere quante più arance possibile, per venderle al mercato croato.
Era inconsapevole del fatto che quello, a breve, si sarebbe trasformato in uno dei giorni più belli della sua vita.
Si avvicinava l’ora di pranzo e Giuseppe raccoglieva ancora le “bionde” in cima all’albero della Santa Maria.
Quando Cicchino – cugino carnale di Giuseppe – chiamò quel grande lavoratore di Giuseppe, questi stava ordinando le grandi casse di agrumi profumati e coloriti: «Giuseppe, vieni a mangiare, oggi c’è il pane fresco del tuo forno!» disse Cicchino.
«Arrivo subito, ho finito qui!».
Giuseppe si incamminò nella stretta e sterrata stradina di campagna il cui sentiero era circondato da oliveti, agrumeti e piantine di ogni genere. Conduceva ad una piccola grotta, dove i contadini si riunivano per pranzare.
Pane, olio, pomodori, arance, uva, questo era tutto ciò che riempiva la piccola, legnosa tavola al centro della grotta.
Una volta finito di pranzare, tutti tornavano al lavoro, tra i profumi della campagna.
Era ormai sera e anche Giuseppe doveva tornare a casa, dopo una lunga giornata di lavoro.
Camminando verso casa, tra il silenzio assoluto delle vuote campagne, il suono incerto degli stivali sul pietrisco, le invisibili cicale e l’abbaiare dei cani, Giuseppe annusò un profumo fragrante proveniente dal piccolo forno di casa sua; imboccò il viottolo che conduceva alla casa, e da lontano udì una musica, come se proprio lì, in casa sua, si stesse celebrando una festa. Una festa a sua insaputa!
Era ormai vicino, altri pochi passi e avrebbe scoperto cosa stava succedendo nella sua proprietà.
Velocizzò il passo, trasferì la sacca di pelle sulla spalla destra, addentò il sigaro e improvvisamente ci fu luce… stordito fece cadere quel sigaro, quella sacca sporca.
«Finalmente Giuseppe!». La voce era famigliare, cavernosa, sicuramente si trattava di Cicchino, suo cugino.
La vista si stabilizzò e Giuseppe si trovò circondato da tutta la popolazione di Canneto, con Cicchino che sottobraccio lo indirizzava verso Vittoria, sua moglie.
C’era Giacomo, il calzolaio, con i suoi tre figli Andrea, Michele e Marco che, sulle scale di quella villetta, suonavano i tamburelli e le nacchere, intonando le tarantelle ballate dalle signore e dai bambini di ogni età, le giovani coppie innamorate sotto i folti alberi d’ulivo, Giacinto e gli amici in gruppo, in fila a quel lungo tavolo colmo di pane, pettole, pizza e ogni genere di dolci; era questa l’atmosfera di quella sera, l’aria che si respirava in quella paradisiaca campagna.
Giuseppe vide Vittoria, si precipitò da lei, e rimase incantato dalla sua bellezza: aveva un completo con bolero e gonna in seta color champagne, con bordura in velluto della stessa tinta e in nero, ed estesi ricami, camicetta di merletto.
«Sei bellissima! Come mai questa festa in mia insaputa? Sono sporco e non sono adatto per una festa!» disse Giuseppe.
Vittoria gli prese le mani, lo portò lontano da tutte quelle persone e disse: «Amore, questa festa è per te, per me e per noi!».
Giuseppe rispose «Va bene, ma cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?».
Vittoria abbassò lo sguardo e timidamente gli confidò «Sono incinta, aspettiamo un altro figlio!».
Allora Giuseppe, ancora più stordito di quanto lo fosse per la festa, l’abbracciò, la prese in braccio e, davanti a quel piccolo forno fragrante di sapori, la baciò, ancora una volta proprio lì, come la prima volta, dieci anni prima. Per mano, con il sorriso stampato in viso, si precipitarono a ballare insieme a tutti gli amici e famigliari presenti quella sera del 30 Giugno.

 

3. Alessia Tricarico – «Era la prima volta che…»

Il Gargano è chiamato lo “Sperone d’Italia”, terra di odori, sapori e colori. È situato nella parte settentrionale della Puglia, posato su un promontorio e circondato da tre quarti dal mare. Un paesaggio puro, verde e di tradizioni.
Era la prima volta che “assaporavo” così tanto la natura; questo nel dicembre del 2012, diedero a mio padre, dopo un anno di ricovero un giorno di libera uscita, fu la prima volta dopo tanto tempo, ed io e la mia famiglia decidemmo di andare al Crocifisso di Varano.
È un territorio meraviglioso, verde, fresco e pianeggiante e che, insieme a tanti altri posti del nostro territorio, fa parte del parco nazionale del Gargano. Non tutti possono capire le emozioni che la natura può donare; è curioso come quel posto abbia donato noi tanta speranza. Eravamo in macchina, ricordo che i miei ricordi mi sfioravano la mente mentre fissavo gli alberi scorrere velocemente. Scendemmo dalla macchina; appena arrivati sentii di non avere più alcun ricordo, esisteva solo quel momento, in un attimo, mille emozioni! Facemmo scendere lui e la sua carrozzina e, quando le sue ruote sfiorarono il tenero terreno vidi un bagliore, un’emozione che probabilmente è difficile da capire.
Dopo un anno di prigionia, nei bianchi muri di un ospedale, guardai i suoi occhi felici brillare, e udii il battito del suo cuore accrescersi. Alzammo gli occhi e.. il bagliore! Molte volte visitammo quel luogo, ma in quella data, nel dicembre del 2012, per la prima volta, guardammo la natura con occhi diversi. I suoi colori, la sua grandezza, il profumo dei fiori, il canto degli uccelli, il fruscio del vento. Ricordo il bagliore degli alberi di pino che circondavano il lago, uno dei maggiori laghi italiani. Successivamente salimmo in cima e visitammo la chiesetta situata nel verde sulla parte più alta.
Il Crocifisso custodisce una leggenda che i cittadini di Ischitella, un paesino limitrofo, contemplano ormai da ogni generazione. Nel 1717 la produzione agricola del posto era povera, secca e prosciugata; non pioveva da un anno circa e presi dalla disperazione e dalla carestia i cittadini di Ischitella si radunarono in questa piccola chiesetta e pregarono intensamente per diversi giorni, ed ecco che il miracolo avvenne, piovve per quaranta giorni.
Le coltivazioni si salvarono e dopo quell’anno, il Crocifisso di Varano divenne, con il tempo una contemplazione ed una tradizione regionale. “Tu dici non ho niente, ti sembra niente il sole?”, questa meravigliosa canzone dei Negramaro mi sfiorò la mente. E proprio quando tutto mi sembrava perduto si accese una speranza, ed è curioso come una semplice giornata immersa nella natura, in uno dei più caratteristici luoghi della Puglia, possa donare tanta pace.
Questa esperienza mi ha fatto capire non solo a livello umano che nulla è perduto, ma anche a livello sensoriale; la natura va assaporata, guardata, ascoltata nelle sue piccolezze. Pascoli,un grande autore caratteristico italiano diceva che erano le piccole cose a fare la differenza. Il cinguettio degli uccelli, il fruscio del vento che sfiorava le foglie, l’odore del mare e il rumore delle sue increspature. Faceva riferimento alla natura, e sosteneva che grazie ad essa il nostro animo si sarebbe placato. Attraverso un luogo possiamo scoprire noi stessi. Il Gargano e il suo bagliore mi fece cambiare modo di pensare. Esso non va solo guardato, ma va nutrito, assaporato, origliato in tutte le sue grandezze. Nulla è perduto se la natura ci attraversa il cuore.

 

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