Premiati IX° ed. – Sezione Prosa

1º PREMIO: Federico Giagnorio – “Un faro all’orizzonte”

“L’autore sa sempre come calibrare una scrittura originalissima, straniante e coinvolgente al contempo, potentissima, visionaria. In questo racconto la Vita si appropria di spazi esistenziali, prende forma. Sarà un Uomo.”
Ci svegliammo in mare aperto, passeggeri inesperti senza capitano a bordo.
L’albero maestro scricchiolava, le vele in balia dei venti di Scirocco.
Onde che scandivano il tempo, sempre più alte, ancor più temibili.
Settimane che sommergevano i giorni, le ore, poi diluivano in mesi, immersi in acque rivendicate a liquido amniotico di Madre Terra.
La flotta era vasta. Vascelli e giunche e caravelle a perdita d’occhio, ognuna
speranzosa di far porto e godersi la bonaccia.
Mi improvvisai mozzo, nocchiere e comandante, prendendo il giusto abbrivo.
La bruma di fine inverno offuscava la ragione. Il Sole era dalla nostra parte.
Rivolse lo sguardo giù in mare e vidi nei suoi occhi il riflesso di una bussola.
Cime, timone e vele potevano ora lavorare in sintonia.
Nella letizia dei suoi occhi cresceva la speranza, la luce, la vita.
Mi arrampicai sull’albero e guardai nella giusta direzione.
«Terra!» gridai a perdifiato.
Fu dolce malia di un faro all’orizzonte, effuso magnetismo di ventura.
Bastò una bussola a donarci nuova vita, a mostrarci la meta ancor prima di raggiungerla.
D’un tratto comparve l’arcobaleno.
Le strinsi la mano, baciai il suo ventre e sognai il giorno in cui sarei diventato padre.

2º PREMIO EX AEQUO: Virginia Spinelli – “Ribelle”

“La scrittura comunica la forza dirompente della ribellione a pregiudizi e stereotipi sociali. Profondità di sentire accentuata, travolgente.”

Nella mia lingua “ Rumrì “ significa “ donna e moglie “ come se fosse un dovere essere la donna di qualcuno.
E non mi piace. Vado controcorrente.
ribelle
/ri·bèl·le/
Aggettivo
Ri- ribellarsi
tornare al bello.
Etimologia:
← dal lat.
rebĕ
lle(m), deriv. di
rebellā
re; cfr.
ribellare

Non mi piacciono le cose imposte, limitate, dovute. La libertà mi appartiene, la mia pelle scura mi appartiene, la voglia di vivere mi appartiene. Non sono di nessuno, sono mia. Sono la mia casa. Appartengo a nessun luogo. Sono mare, vento, occhi altrove. Appartengo a nessun luogo, un canto, le mani addosso e i legami. Come le sere d’estate che non ti stancano mai. Appartengo a nessun luogo come i posti lontani, non visitati. Abbandonati, piene di crepe ma piene di cose belle da scoprire. Gli occhi neri e la pelle scura, nessuno sa chi sei ma tutti ti giudicano. Ci sono giorni in cui mi manca l’aria perché tutto mi schiaccia. Sarà sempre così? Ho promesso a me stessa di essere felice e lo sarò. Respira e spera. E come dice Alessandro Baricco “sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto.”


2º PREMIO EX AEQUO: Saverio Bronda – “Il guanciale scomodo”

“Prosa densa di echi onirici, di richiami simbolici, vischiosa, a tratti allucinata, magistralmente strutturata, capace di traghettare chi legge nell’altrove altrui e proprio.”

Stanotte il guanciale è scomodo.
Proverò a riordinarlo, magari con due buffetti sul dorso.
Colpi decisi e delicati, come quelli che riserviamo agli abbracci.
Avvinghiati con arti altrui ci sentiamo sicuri; ed è questo ciò che emula il mio cuscino.
In un plenilunio comune sarei finito così: in posizione fetale, il petto attaccato alla federa riempita da penne d’oca e i piedi nudi; poco più in basso delle ginocchia, a rincorrersi sul fresco lino.
Stanotte il guanciale è scomodo.
Il mio respiro è irregolare.
La posizione fetale non beneficia la mia schiena che, intorpidita, cerca una geometria diversa.
Lontano da ogni perfezione giottesca.
Non c’è armonia nelle mie curve.
Serro le ciglia e, paradossalmente, mi trovo sulla soglia di un mondo diverso.
I bronchi si dilatano.
Il diaframma si contrae.
Io mi avveleno.
Non è il guanciale il problema.
È la paura che i miei polmoni possano scoppiare.
Che i miei alveoli si spacchino come tessere musive.
Diventando il pigmento rosso delle vetrate della mia stanza, come i claristori gotici.
Siamo dominati da forze che non conosciamo.
Tutto accade nel rispetto della nostra ignoranza, mentre blateriamo di libero arbitrio.


3º PREMIO: Celestina Carofiglio – “Solitudine”

“Bella la storia raccontata. L’efficacia dell’uso della spaziatura e della punteggiatura dice di una sapienza letteraria notevole.”
Lo chiamavamo Cape de firr perché la sua testa era liscia come quella di una fontana o perché
il naso era così pronunciato che ricordava il rubinetto o perché salivava molto spesso e
bagnava la gente che gli si avvicinava o soltanto perché il viso ricordava la Fontana delle
quattro facce a Bari o perché, ipotesi più accreditata, la testa era dura come il ferro.
La sua testa, infatti, era così dura che c’entravano solo le parole degli altri. Ogni tanto si ripeteva le frasi che gli urlavano dietro i bambini di Bari vecchia. “Vecchio scemo, puzzi. Vatti a lavare!”Queste parole continuavano a ronzargli nella testa. Era gennaio, si sentiva
particolarmente triste. Si sentiva una nullità .Da quando era morta la mamma nessuno più lo
aveva abbracciato. Tutti lo deridevano e lui avvertiva molto la solitudine. Quella mattina era
più depresso del solito perché un gruppo di bambini aveva urlato, nel vederlo: “Che puzza è
peggio di un gabinetto!” L’uomo andò piangendo sul lungomare e si buttò nel mare
burrascoso per lavarsi, ma non sapeva nuotare. Lo chiamavamo Cape de firr. Ora non c’è più.
Sul lungomare una lapide ricorda il suo ultimo gesto disperato,con una scritta ”Solitudine”.

PREMIO RADICI E TERRITORIO:
Alessandra Manfroi – “L’incontro”

“L’autrice trasforma con maestria un episodio della sua famiglia in una bella pagina di letteratura, in grado di commuovere.”
Pioveva quel giorno, quando lui la vide. Erano tutti impegnati al lavoro nell’uliveto di famiglia e all’improvviso un acquazzone li colse di sorpresa. È scappando sulla strada del ritorno, in un gioco di sguardi, fuga e risa, che lui incontrò i suoi occhi e se ne innamorò. Erano i primi anni dopo la guerra e tutto sembrava essere una festa, un’occasione di gioia: mai immaginava quella folgorazione. Camminavano canzonandosi ai lati opposti della strada, un ceto sociale in mezzo a separarli. Ma lei era bionda, di una bellezza incantevole.
Alta, slanciata, la pelle bianca come pasta di pane cruda, ammaccata dalle fatiche giornaliere sotto il sole. Lo sguardo orgoglioso, gli occhi brillanti, verdi come olio nuovo e tutta l’innocenza dei 17 anni, in un’Italia da rifare. L’incontro rimase silenzioso, immerso nel frastuono di quella pioggia e di quelle risa. Lui non la perse di vista. La cercò fino a casa, chiese di lei e con audacia le si avvicinò. Le prese la mano, con delicatezza, e sussurrò: “Che le nostre vite, come queste mani, siano unite per sempre”. Lei abbassò lo sguardo e gli occhi si inondarono di lacrime. Avevano appena scritto la prima pagina di una lunga storia d’amore.

MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA:
Fernando Loretti – “L’uomo nero”

“Prosa molto efficace per un lavoro veramente notevole, con un finale che arriva al cuore e vi transita per un pezzo.”
Era la terza notte che l’uomo del quadro appariva nei suoi incubi.
Lo percepiva, era vicino; troppo vicino!
Luca schizzò fuori dal letto e scappando verso la cucina, avvertì una
mano gelida sfiorargli la nuca.
Si nascose sotto al tavolo, scorgendo la spaventosa figura sbucare dalle
tenebre del corridoio.
Sembrava venuto dall’inferno e ne portava segni, sangue e cicatrici.
Si fermò davanti al pezzo di legno, allungando nuovamente l’arto
martoriato; ma il piccolo fuggì sul balcone.
“Fine della corsa.”
Stava per volare giù dal quinto piano quando spalancò gli occhi,
imbevuto in umide coperte.
Consapevole di trovarsi nella realtà come all’inizio del sogno, tutto gli
parve ripetersi; (perfino quel brivido dietro al collo mentre correva!) ma
questa volta, entrò in camera da letto e urlò:
« Mamma! Svegliati!»
Vomitò tutto, o quasi e le mostrò la triste opera, “inchiodata” difronte
l’ingresso, in bella vista.
« Perché hai paura di Gesù?»
Chiese lei, perplessa.
Silenzio, strozzato da lacrime e singhiozzi furono la risposta.
Si stesero insieme nel letto, Luca si assopì.
Tutto ad un tratto la donna sentì vibrare il telefono dell’undicenne, un
messaggio.
Era Giovanni, il suo amichetto di banco.
C’era scritto:
“ Ti amo anch’io.”
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