Terra mia
Ultimo giro di chiave e la piccola porta marrone, quel giorno,
chiuse davanti a sé senza sapere quando sarebbe arrivato il momento
di riaprirla. Aurora scese pian piano le scale con la sua
piccola valigia piena di cose sia utili che strane come quella rana
verde dal pelo morbidissimo, dalla quale non si separava mai e alla
quale aveva dato il nome di Priscilla da quello omonimo della sua
nipotina che gliel’aveva donata prima di partire molti anni addietro
che non ricordava neppure quanto tempo fosse passato. Ognisera, quando rientrava a casa dopo una lunga giornata di lavoro in
u cio, Aurora si sentiva spesso sola, riscaldava a solita zuppa già
pronta e buttava giù quei bocconi come se fossero state cucchiaiate
di pietre. Tutto nel suo appartamento grigio era in ordine ed
ogni oggetto sembrava essere stato creato apposta per stare dove
stava: il vaso con le margherite nell’angolo in fondo al corridoio,
la vecchia macchina da scrivere sotto la nestra in salotto e quel
cofanetto turchese sempre sul suo comodino in camera, dal giorno
in cui aveva acquistato quella che sarebbe diventata la sua nuova
casa. La sua amica May lo chiamava ‘il cofanetto delle meraviglie’
perchè ogni volta che lo apriva quel profumo di mare le entrava
nelle narici ed i suoi occhi si saziavano di stupore, era piano zeppo
di conchiglie e stelle marine dalle mille forme e sfumature ma per
Aurora era molto di più, era il suo passato, le sue origini e la sua
parte migliore.Trentadue scalini la separavano dall’uscita ma con
quel caldo umido che da giorni so ocava la città, sembravano un’
eternità ma il tempo stringeva, erano le 16:00 e il suo ultimo treno
sarebbe partito tra meno di un’ora ed il ore tra i suoi capelli
color nocciola, non voleva saperne di stare lì. Nella città deserta,
solo il rumore delle rotelline della sua valigia sull’ asfalto fumante
interrompeva la quiete apparente di un’atmosfera infernale.
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Con il passo svelto di colei che vive in città ormai da anni, abituata
ad avere lo sguardo sso sulle lancette dell’orologio, giunse al
binario otto. Erano anni che non si ritrovava li, ad aspettare quel
treno e quando lo vide arrivare, il suo cuore iniziò a battere forte
e le sue mani ad inumidirsi. Qualsiasi cosa sarebbe successa, era
lì e nulla le avrebbe impedito di perdere quel treno. Prese posto
vicino al nestrino, accanto una signora con una gonna lunga e un
fazzolettone legato alla testa. Nel vederla, un’immagine lontanissima
nella sua memoria, impolverata dallo scorrere del tempo e dal
dolore, le fece venire in mente la sua bisnonna che portava sempre
un fazzoletto in testa sotto il quale nascondeva accuratamente le
trecce ormai bianche dall’età che avanzava. Sembrò quasi che quel
lontano ricordo prendesse vita in quegli attimi, che quella donna
forte, coraggiosa e audace, come le altre donne di un tempo, fosse
davanti ai suoi occhi pronta a sorreggerla, a starle accanto.
Fu con questa strana e dolce sensazione che Aurora appoggiando
la sua nuca al sedile, chiuse gli occhi mentre lo scorrere
del treno sui binari cullava il suo riposo. Più si allontanava dalla
città e più sembrò quasi che si sentisse più sollevata, più leggera,
più viva come aveva deciso di non fare dal momento in cui aveva
scelto di trasferirsi in città, di dedicarsi solo al lavoro, di mettere
in un cassetto la chiave dei ricordi, di aver cancellato dal suo calendario
il Natale e la Pasqua, facendo so rire chi l’amava e continua
ad amarla. La risata dolce e allegra di un piccino la svegliò e
guardando fuori dal nestrino, il mare era davanti ai suoi occhioni
marroni, l’acqua cristallina, limpida, pura come il cielo azzurro
che lo sovrastava con qualche nuvola bianca. Qualche piccola imbarcazione
a forma di sandalo accarezzava la super cie di quella
distesa d’acqua così incontaminata e le ria orò alla mente e alle
porte del cuore, il ricordo di un suo caro zio che tutte le mattine
si alzava ancor prima dell’alba per andare a pesca e della
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soddisfazione che leggeva nei suoi occhi quando rientrava a casa
con la sua rete piena di quello che il Signore aveva desiderato offrirgli.
Le ginestre spiccavano quà e là interrompendo quel verde
continuo della vegetazione, di quel lembo di terra vergine così come
lo erano tutte le immagini che sempre più velocemente ria oravano
alla sua mente come se durante quel lasso di tempo si fossero
assopiti in un sonno profondo. Scorci di case bianche, ricordavano
quelle viste in cartolina e gli occhi di Aurora si riempirono
di una luce nuova, ricominciarono a prendere vita alla vista della
sua terra, del suo mare, del suo paesaggio.Terra incontaminata dai
tratti aspri e dolci, terra di lacrime e di gioie, terra di uomini e
donne forti e fragili nello stesso momento dove chi parte so re e
chi ritorna sorride come un passerotto che quando vola nel cielo si
sente libero ma intimorito e quando torna al suo nido si sente al
sicuro. Così si sentiva Aurora in quegli istanti mentre una lacrima
le accarezzava il volto e il suo sguardo sso fuori dal nestrino.
Ed il piccino che poco prima l’aveva svegliata con la sua voglia
di vivere, si avvicinò a lei e prendole la mano le chiese con la sua
bu a vocina e con gli occhietti dolci e preoccupati di un passerotto
innocente:
Signora perchè piangi?
ed Aurora sorridendo gli rispose :
Perchè questa è la mia terra, la mia mamma: il Gargano
Aurora giunse in stazione e ad attenderla c’era Priscilla, la sua
nipotina ormai diventata una donna, ma ad attenderla c’era soprattutto
la sua nuova vita.
Miscia Chiara