Premiati X° ed. – Sezione Prosa
1º PREMIO: “La Danza della Notte” di Dafne Indovina
La figura incappucciata si stagliava eretta contro il cielo notturno. Dal suo braccio, appesa ad un filo sottile come una ragnatela, pendeva una minuscola ballerina. Con il cuore stretto in una morsa, ella danzava sotto il peso degli avidi occhi che attentamente la osservavano. Prigioniera di quel filo eterno come la vita, riponeva tutte le sue speranze di liberarsi nel ballo. Con maestria, volteggiava, e più tentava di spezzare il filo e più quello si annodava, e, annodandosi, si accorciava.
Ma non poteva arrendersi: quel filo era sempre più corto, troppo corto. Danzando, sì, si sarebbe salvata. I suoi movimenti sublimi continuavano inesorabili, portando l’eco di sinfonie lontane nel silenzio della notte. Al muto spettatore incappucciato pareva d’udire per davvero quella musica, e, per cotanta bellezza, si commuoveva.
Così, una lacrima scendeva a bagnare il volto della morte, e, mentre la goccia scorreva, il filo, finalmente, si spezzava.
2º PREMIO: “Giglio bianco” di Alessandra Manfroi
Faceva caldo, quel giorno. L’aroma dei numerosi e candidi fiori si spargeva nell’aria e contribuiva a rendere il respiro ancora più rarefatto. Il suono cadenzato delle campane appariva simile a una lancia mossa a trafiggere l’anima, intrisa della consapevolezza di ciò che non sarà più. In tanti piangevano perché ciascuno quel giorno aveva perduto qualcosa: chi un marito, chi un padre, chi un amico. È strano, ma ci si stringe compatti in un unico, diverso dolore, cercando di non guardarsi troppo negli occhi, di non vedere il dolore degli altri farsi realtà. La folla radunata si strinse in un lungo applauso sciogliendosi in un pianto finale e, poco alla volta e con discrezione, iniziò a disperdersi. Davanti alla lapide bianca rimase soltanto la sua famiglia: di fronte a loro la desolazione della perdita, l’abisso del vuoto, l’incredulità dell’epilogo della vita.
“Abbiamo tutti un unico destino – disse ad alta voce l’ultimo ad andarsene – e di noi non resta che il ricordo delle buone azioni che hanno caratterizzato la nostra vita. Le costellazioni dei nostri sorrisi, la forza dei nostri abbracci, la bontà del nostro animo, l’immensità dell’amore che abbiamo saputo donare”. Alle sue spalle, soltanto un giglio bianco.
3º PREMIO: “Lettera” di Matteo Pedicillo
Non lascerò che il tempo sgretoli le mie forze come intonaco dai muri o come nebbia offuschi i miei ricordi. Non permetterò che i suoi occhi verdi, così rari, svaniscano come stelle cadenti e io non resterò ad esprimere invano il mio ultimo desiderio.
Lei se n’è andata. È partita con la sua famiglia e altri centotrenta, stretti come pennarelli in un astuccio, ma svuotati di ogni colore.
In questo Paese è lecito rischiare il mare per fame, per guerra o per lavoro. Non è contemplato partire per amore.
Ma io non aspetterò che il vento asciughi le sue lacrime dalla mia bocca. Non accetterò che la pioggia lavi il suo profumo dalla mia pelle.
Le sue ultime parole furono: “Vivi per me”.
Cosa vivo in una terra senza semi, in balia di una vita senza vita?
Solcherò le onde e mi ricorderò dei suoi capelli. Il sale sarà miele sulle mie ferite. Mondi estranei diventeranno patria se la mia mano stringerà la sua.
Domani partirò per mare non per fame, non per guerra, non per lavoro. Partirò per essere uomo, padrone del mio destino.
Partirò per cercarla, per essere libero di amare.
MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA
“Lame” di Chiara Barberis
Sono qui. Davanti alla pagina bianca. Muta. Immobile. E l’unica cosa che so è quello che ho dentro. Mi porto nel cuore una voragine così profonda da mozzare ogni tentativo di respiro.
Ho perso il mio amore.
Per sempre. È successo quando ci ho creduto di più. E così ho conosciuto la morte. Ho assaggiato l’insopportabile sapore amaro del dolore.
Violentissimo.
Sordo.
Implacabile.
Inspiegabile.
Spietato.
Ho vissuto tanto tempo nella finzione, nell’ombra.
Tra le promesse mai mantenute.
Nell’attesa di decisioni mai prese.
Dietro ad una porta nel silenzio del mio povero trucidato cuore appeso alla speranza e dilaniato.
Nel buio infinito di un mare di bugie, dove onde mortali si abbattevano ogni giorno su di me, ho sopportato un oceano di dolorosissime sferzate.
Tutto ha un prezzo.
Enorme.
Anche amare.
Soprattutto amare la persona sbagliata.
Ma non esiste cura. Non esiste terapia. Farmaco.
Per guarire da questa gravissima malattia dell’anima.
Per alleviare quest’enorme sofferenza.
Questa inaudita cicatrice sanguinante di vita.
Mi guardo intorno e vedo che per gli altri è facile, che loro hanno vite regolari, equilibrate.
Hanno ciò che a me è ormai precluso, negato, ciò che mi manca, che si è rotto: la felicità.