Premiati VII° ed. – Sezione Prosa

1º PREMIO: BRUNO MICHELE LINDO “Fotografia di lei”
La nostalgia, lente di interpretazione di dimensioni esistenziali profonde ,di spazi e tempi altri, permea il textus, lo imbibisce fin nelle sue fibre più recondite, generando una prosa finemente crepuscolare.
Da quando lei se n’era andata, la casa era diventata cupa e grigia. I mobili erano sempre pieni di polvere e le tende di stoffa pesante puzzavano di chiuso. La luce sembrava non entrare mai in quelle stanze. Il vecchio era un’anima in pena che vagava in mezzo al mobilio antico. Come la casa, anche lui era silenzioso e malandato, lì, solo com’era. In un giorno di sole, un raggio penetrò in casa e si posò su una vecchia foto su un comò. Il forte riflesso del raggio sul vetro della foto, colpì il vecchio, attirandolo. Scoppiò a piangere. Lei nella foto aveva un vestito a pois, era seduta sull’erba e lui accanto. La luce sempre più forte illuminò tutta la casa, la foto sembrava tirarlo dentro di sé. D’un tratto iniziò a sentire il profumo dei fiori e di lei, e in vento che quel giorno di tanti anni prima gli soffiava in faccia. Voleva tanto essere lì con lei, tanto. Poi la luce iniziò a lasciare la casa. Quando la casa tornò buia, il vecchio era nella foto con lei, di nuovo sdraiato su quel prato accanto al suo amore.
2º PREMIO EX AEQUO: FEDERICO GIAGNORIO “Luce dentro di me”
Sentimenti densi come la placenta , partoriti attraverso una prosa che nulla concede al superfluo, tanto evocativa da sfiorare il limen poetico, grazie ad un’accurata ricerca letteraria.
È da tempo che aspetto di conoscerti.
La mente vola in una dimensione sconosciuta.
Chiudo gli occhi, il respiro si fa lento e rivedo te in uno sconfinato istante.
La luce fioca dei ricordi diventa nitida.
Mi ridesto nei pensieri, in quei gemiti di agosto, coperti dai solai verdi delle chiome trapunte di sole.
Ogni cosa parlava di te, tra i silenzi e gli affanni, inavvertito e implacabile prendevi forma nel groviglio dei miei sogni e desideri labirintici.
Freddo e umido mi strattonano al presente.
La luce è eccessiva per le mie pupille. Il cuore reclama attenzioni nel fracasso della gabbia toracica.
L’udito mi ritorna al tornar della vista. Sento gioia e vedo sorrisi alle periferie dello sguardo, ma i miei occhi sono solo per te.
Una foto in bianco e nero.
Un respiro, primo signore del pensiero, e già mi amo dentro te.
Rinascerò nel più grande innamoramento che il destino possa donare. E ascolterò, e riderò, e piangerò. E il tuo pianto cancellerà ogni dolore.
E ti parlerò, usando parole che sovrastano il rumore del mondo.
Aspettavo di conoscerti, e forse ti conosco da sempre.
Non so ancora il tuo nome, ma tu puoi chiamarmi semplicemente mamma.
2º PREMIO EX AEQUO: SAVERIO BRONDA “Il carceriere del tempo”
Il carceriere del tempo Nuances melanconiche per un fotogramma esistenziale che racchiude emozioni fluttuanti nel tempo dello spirito . Prosa coinvolgentemente tersa, tesa a traghettare verso un universo liquido .
Quel giorno compiva 83 anni.
La mano tremolante avvicinava il bicchiere di bourbon alle labbra, era divenuto un gesto istintivo, un lusso che si concedeva sulla vecchia sedia a dondolo.
Le dita libere sfogliavano un album fotografico.
Vedute che racchiudevano istanti. Istanti schiavi di una demenza senile autoeletta a carceriere del tempo. Prigioni d’oro che aveva tanto amato.
Primo sorso di whisky: la nebbia non si dirada.
La prima foto è di un vintage seppia che lo ritrae con due camerati su un terreno ghiaioso. Abbracciano un fucile di cui non ricorda il nome e sorridono di gusto. Lui è al centro, le mani sui fianchi e una sigaretta tra le labbra, un vizio di cui non ricorda l’anniversario.
La lingua inumidisce l’indice. Seconda pagina: qui la nebbia non arriva ancora.
Di nuovo lui, sugli scogli, affiancato da una venere latitante all’aguzzino del tempo.
La foto è una scala di grigi, è il ricordo a colorarla. Un bacio che vale l’eternità.
Lei ruba la luce al sole mentre lui chiude gli occhi, come se il creato fosse troppo per il suo sguardo.
Sentiva ancora la brezza e pregava il tempo. Gli chiedeva di non rubargliela una seconda volta.
3º PREMIO: GIUSEPPINA CURATOLO “La partenza”
Ogni parola del racconto ricrea il senso dello straniamento , provocato dall’abbandono di luoghi ,non solo fisici ,ma dell’anima ,della vita . la voluta semplicità della prosa conferisce al racconto un alto valore letterario.
Sfogliando l’album di famiglia, Emma si ritrova tra le mani un ritratto della sua infanzia, una fotografia in bianco e nero. Colori a lei familiari: il bianco comparso sui suoi capelli e il nero del vuoto che si è portata dentro. Impronte indelebili.
Ricorda ancora con nitidezza il mattino in cui tutto avvenne e in cui tutto si impresse come marchio rovente su carne viva. Le valigie verdi e qualche scatola di cartone erano già pronte. Fuori era buio, il silenzio avvolgeva le ultime ore della notte. Le voci familiari, ancora assonnate, erano tristi e cupe. Non c’era gioia per questo viaggio verso l’ignoto.
Emma stava in braccio alla nonna perché sarebbe rimasta con i nonni per due anni. Sull’uscio, aveva le braccia intorno al collo della nonna, la testa appoggiata sulla sua spalla. Faceva finta di dormire per non vedere quello che stava accadendo. Tutti la salutarono, la mamma piangeva.
Non spuntò una lacrima sul suo viso di bambina! Il finto sonno mascherava il suo strazio. Emma catturò quel grido di dolore e lo imprigionò dentro di sé. Il pianto le inondò l’animo. La nonna si avviò verso casa sua, il resto della famiglia verso la stazione.
MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA: ROSA PELUSI “1990”
Le montagne innevate del Piemonte incorniciano un idilliaco quadretto familiare. Solo ora lo comprendo: allora era tutto scontato, normale, naturale.
Papà, capelli radi castani, sorride guardando altrove: non ricordavo quasi più il colore dei suoi capelli e quel sorriso spensierato e sereno.
Io e mia sorella, due piccole bimbe avvolte nei loro giubbotti che fanno intravedere vestitini di un periodo lontano, sorridiamo all’obiettivo. Divise,distanti, come sempre siamo state nell’infanzia: e’incredibile come i problemi possano anche avvicinare e far riflettere sul tempo sprecato.
E poi mamma, nel suo cappotto svasato, gli stivaletti bassi e un’aria soddisfatta, ci guarda: il suo mondo era tutto lì, non le serviva nient’altro che la sua famiglia e un po’ di tempo libero. Donna d’altri tempi, infanzia difficile, emigrazione, sacrifici: noi, la sua felicità, il suo traguardo, la sua ragione di vita.
Un puzzle perfetto, ma, come qualsiasi puzzle che si rispetti, quando manca un pezzo risulta incompleto. Una scheggia vagante ha infranto quest’immagine riflessa nello specchio della nostra famiglia. Manchi mamma.
E, mentre osservo i miei bambini dormire, una lacrima scende. Nostalgia.
PREMIO RADICI E TERRITORIO PROSA: CELESTINA CAROFIGLIO “Serata magica”
Il mio impresario mi annunciò che avrei cantato a Cagnano Varano. Ebbi un tuffo al cuore!Presi l’album delle fotografie e ne osservai una: la mia famiglia a Cagnano. Ricordai le estati passate in quel paesino e nelle meraviglie del Gargano, ospiti degli zii. Sentii il profumo ed il gusto delle more appena colte. Ricordai il sapore del mare del Gargano e la piacevolezza di affondare la mano, per trovarci telline. Rividi con la memoria il lago Varano. Che meraviglia! Gli zii non c’erano più e neanche i miei genitori. Arrivammo alle tre del pomeriggio! Vidi subito l’arco che noi bambini attraversavamo per raggiungere la casa della zia. Il quartiere Cavuto!Ecco come si chiamava! Avrei cantato la sera per i vicoli. Che emozione! Quanti ricordi! Percorsi le stradine e giunsi alla casa della parente. Era tutto chiuso. Una signora si affacciò. Ricordava benissimo la zia e anche i miei genitori. Una parte della mia vita si ritrovava. La serata fu splendida! Le stelle illuminavano le viuzze, bardate a festa. Una Cagnano, come non me la ricordavo! Alzai gli occhi al cielo! Fu come un lampo! Tra le stelle rilucevano i volti dei miei parenti, che mi guardavano amorevoli!
Show Buttons
Hide Buttons