Menzioni speciali della giuria
MENZIONI SPECIALI DELLA GIURIA
SEZIONE POESIA
“SSOPR’-A LU COLLE DI SANDUNETE”
di Candeloro Lupi
Vende,
ca m’arpuorte l’addore dilu mère
e lu sapore di nu prime vesce,
quanda l’acque surjeve da nu sguarde
e li vulije ne’ n- sindè raggione.
Vende,
ca m’arpuort’-a li recchie li parole:
dimme ca mi vuò bbene. Ti ni vuoje
di cchiù di quand’è ll’onde di lu mère
e quanda schiume stà m-mezz’-a li scuoje.
Vende,
ch’annascunnì’ lu batte di lu core
m-mezz’-a lu murmurije di li fronne,
quanda li sguarda nostre, vruvignuse,
scuprè li forme di lu corpe nude.
Vende,
ca scingilì’ capill’-e jirvitelle,
gna na mèna ggindil’-e capricciose,
e t’arrubbiv’-e ti purtì’ lundene
li giemit’-e suspire del’amore.
Vende,
chi ti sindeve chiù cheli numiende!
Chi li sindeve chiù candà’ li grille!
‘Rminì’ quanda la piem’-havè passete
e ti purtì’ l’addore del’amore.
Vende,
nen zuffià’ chiù, ma prim’arsughe st’uocchie,
ca lu ricuorde mi l’hà fiette m-bonne.
Colle di Sandunete, sciabbindette
ca mi siè fatt’-arvive cchel’amore.
(Traduzione italiana)
“SUL COLLE DI SAN DONATO”
Vento,
che mi riporti l’odore del mare
ed il sapore di un primo bacio,
quando l’acqua sorgeva da uno sguardo
e le voglie non sentivano ragioni.
Vento,
che mi riporti alle orecchie le parole:
dimmi che mi vuoi bene. Te ne voglio
di più di quante sono le onde del mare
e di quanta schiuma sta tra gli scogli.
Vento,
che nascondevi il battito del cuore
in mezzo al mormorio delle foglie,
quando i nostri sguardi, vergognosi,
scoprivano le forme del corpo nudo.
Vento,
che scompigliavi capelli ed erbetta,
come una mano gentile e capricciosa,
e rubavi e portavi lontano
i gemiti e sospiri dell’amore.
Vento,
chi ti sentiva più in quei momenti!
Chi li sentiva più cantare i grilli!
Tornavi quando la piena era passata
e portavi via l’odore dell’amore.
Vento,
non soffiare più, ma prima asciuga questi occhi,
che il ricordo me li ha fatti bagnare.
Colle di San Donato, che tu sia benedetto
per avermi fatto rivivere quell’amore.
***
ANIME SALVE
di Franco Polignone
Si incupisce l’anima al calar della notte, dai vicoli del bianco appare la luna
Il seme muore all’incontro con la terra, per poi tornare alla vita
Il vento soffia e fischia nel richiamare anima a danzare
Dai canali il dolce tintinnio come note di pioggia,
a far compagnia alla triste solitaria anima,
che inneggia miti del passato
Tanto venerata e ricercata allegria
Ti commuovi nell’udire rintocchi nell’invito a festa – Sepolcri Ricordi
Cercando in vano le proprie conquiste,
mentre anime cadono in solitudine – Oblio
Quante virtù nella tua profonda tristezza, inebriato dal rosso sangue cade fitta la pioggia d’estate
Il tempo cerca e mormora ascoltando la vita,
ove canti e suoni danzano l’amore
***
MENZIONI SPECIALI DELLA GIURIA
SEZIONE PROSA
PREMIO RADICI
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QUESTA È LA MIA GENTE
di Emanuele Sanzone
“Ventisei le va bene?”
“Va benissimo” rispondo.
Uscito dalla facoltà con un pizzico di orgoglio (lo ammetto, temevo proprio di non farcela!) mi avvio verso il Duomo, percorrendo i viali gremiti di gente.
“Ti ricordo fra un’ora al bar di Peppe per parlare di Ibiza”. Luca con un suo sms mi riporta immediatamente alla realtà: quest’anno niente vacanza con gli amici. Nonostante una settimana di litigio con i miei non sono riuscito a convincerli.
Cos’è cambiato quest’anno rispetto agli altri anni? La ditta che produce ceramiche in cui lavorano i miei è in difficoltà. Una buona metà degli operai è in cassa integrazione da mesi mentre adesso lo stesso destino tocca anche al mio papà e al resto degli impiegati. I miei sono arrivati in Brianza una ventina di anni fa, quando hanno lasciato il loro paese natale per venire a sbarcare il lunario qui. Qualche tempo fa, reduce di un esame andato bene, sono entrato tutto trionfante a casa, convinto che il buon risultato avrebbe aiutato le trattative per il viaggio. E invece no.
“Mi dispiace, ma dobbiamo cercare di stringere la cinghia. Non sappiamo se in autunno io e tua madre avremo il lavoro o la cassa integrazione” disse mio padre, con la compostezza che lo ha sempre contraddistinto.
Negli anni passati la vacanza estiva me la pagavo io con dei lavoretti saltuari, ma quest’anno ho deciso che quel maledetto esame di diritto privato dovevo togliermelo e per far ciò non dovevo avere altra distrazione fisica o mentale. Che brutta estate che mi aspetta!
I miei amici sanno già che non potrò seguirli ad Ibiza, ma hanno deciso di incontrare anche me nella speranza illusoria di farmi cambiare idea. Mi fermo un attimo a pensare, davanti alle maestose guglie del Duomo. Mi verrebbe da entrare dentro e chiedere alla Madonna o a Sant’Ambrogio una soluzione risolutiva del problema. Ma poi penso che i Santi vadano scomodati per problemi peggiori, non per una vacanza con gli amici… e poi avranno molte richieste più gravi. E mentre i turisti stanno lì a scattare le foto al Duomo e alla Galleria, mi incammino verso la fermata della metro. Decido che di incontrare gli altri non se ne parla, almeno per oggi. E poi, ho a malapena 3 ore di sonno e non vedo l’ora di stendermi un po’ e non pensare a niente, diritto di famiglia e contratti inclusi.
È proprio vero che quando la meta non piace, il viaggio sembra più corto. Eccomi qua, in viaggio da sei ore e mezza. L’unico aspetto positivo è che perlomeno papà mi ha fatto guidare in autostrada. Abbiamo superato San Nicandro da poco. In questo punto la superstrada si fa leggermente tortuosa e davanti a me si apre uno scenario che non ricordavo così incantevole. Sono le cime del Gargano, non altissime, che pian piano si adagiano verso il Lago, accompagnate dalle colline piene di ulivi che il vento scuote e piega a suo piacimento. È Favonio secondo la puntualizzazione di mio padre, che con questo vento caldo ci è cresciuto. Gli alberi quindi si muovono quasi in una danza di accoglienza, mentre sullo sfondo la vista dell’azzurro del cielo che si riflette sul lago e poi sul mare, divisi solo da una linea verde, toglie il fiato.
Arriviamo a Cagnano Varano al tramonto. Scarichiamo i bagagli e tutto sudato mi fermo un attimo sul balcone. Il vento sembra aver cambiato direzione. Ora è fresco e ristoratore e viene dalla montagna. La vista dal balcone è notevole: alla mia sinistra c’è il centro storico con le sue case arroccate sulla collina, davanti a me i monti e le valli verdeggianti, ai piedi di essi ci sono i binari della vecchia ferrovia.
Erano anni che non tornavo a Cagnano, approfittando di viaggi all’estero con gli amici o vacanze studio. Il ricordo che ho di questo paese sperduto della Puglia è della mia infanzia, delle estati passate tra il mare e la spiaggia incontaminata e i pomeriggi a giocare in strada con mio cugino, che non è mai stato campione di finezza. Anzi, durante un litigio mi urlò che parlavo come ‘un polentone’ del Nord. Chissà se è cambiato. L’ultima volta che venni qui è stato alla fine delle medie, una decina di anni fa.
Doveva essere un’estate monotona ma non lo è stata affatto. Dopo aver scoperto che mio cugino Antonio in questi anni è diventato un dj apprezzato in zona, sono stato praticamente tutte le sere in giro con lui a Rodi, Peschici, Vieste, tornando puntualmente alle sei del mattino, subito dopo un cornetto caldo al bar. Poi tutti i pomeriggi sono stato al mare con la sua compagnia e siamo stati anche alle Tremiti! Domani riparto e devo ammettere che mi dispiace un po’ ripartire. Certo, Antonio mi ha detto che d’inverno c’è poco da fare, ma vuoi mettere svegliarti con il panorama del Gargano?
Mio cugino mi ha fatto una sorpresa per la partenza. Oggi pomeriggio ha noleggiato un deltaplano biposto. Prendendo quota dalla Madonnina stiamo sorvolando Cagnano. Si vede benissimo il campanile della Chiesa Madre e l’ex convento con il suo tetto squarciato. Ecco lì il Puzzone con il campo da calcio e il piazzale della Grotta di San Michele. Lo sguardo poi si sposta sui Pannoni e le falesie lungo la costa del lago. E i pescatori che stanno rientrando e ormeggiando a Bagno. La vista poi si perde nell’azzurro del mare. Il tutto mentre il vento spinge il nostro volo e accarezza dolcemente il mio volto. Un brivido mi percorre perché questo vento ha scosso la prospettiva del mio viaggio. Da una partenza forzata alla voglia di tornare. Perché in fondo anche io sono garganico. Questa è la mia gente, questa è la mia terra!
***
HO SEMPRE AMATO IL VENTO
di Aura Lei
Ho sempre amato il vento.
Anche quello più fastidioso, insistente. Mentre mi affaccio con i capelli scomposti alla balaustra che mi separa dalla spianata di bianchi coni, immagino che quello stesso vento, che adesso mi insidia, mi sollevi via e mi depositi chetato a cominciare un’altra vita altrove.
Dondolo.
Raggiungo, prima a destra poi a sinistra, le chiome degli alberi divise dal rettangolo di cielo, catturata e avvolta in una rete da pesca.
Il mare è distante; ma quel vento che scompiglia le cime dei pini e le capigliature degli ospiti, ne riproduce il suono e magicamente ammalia.
E’ una scena estiva. Gli invitati gustano le prelibatezze preparate per loro dalla padrona di casa. Ogni boccone è una confidenza, una risata, la promessa di un ritorno.
Il pranzo è costato fatica. Una mattinata intera ai fornelli, tra verdure da raccogliere, pulire e polli da spiumare. In un battibaleno la tavola è già vuota delle pietanze così magistralmente cucinate: la parmigiana di melanzane, le orecchiette al sugo e basilico e cacio ricotta, il purè di fave, i peperoni fritti. E’ usanza della casa non suddividerle in portate, ma poggiare il cibo in una volta sola o quasi, così i commensali sono liberi di mettere nel loro piatto quello che più gradiscono.
Non ci sono vettovaglie di particolare pregio, argenterie o bicchieri a calice. Il tavolo sbilenco, di assi di un vecchio noce, è imbandito solo della migliore qualità di cibo e in abbondanza.
Mi aggiro intimidita e curiosa allo stesso tempo. Aiuto a servire in tavola, a prevenire desideri e bisogni. Ascolto in silenzio i racconti di vite altre che mi appaiono senza vincoli e intraprendenti.
E’ un artista di marionette quello che siede lì a capo tavola. Ha un bel cipiglio. Non è la prima volta che viene a trovarci, anzi ci ha fatto l’abitudine ormai. Quando a lui mi avvicino, mi sorride, mi cinge la spalla. Possiamo dirci un po’ amici noi due. Lui ottant’anni, io diciotto. Ricevo le sue cartoline con rime a me dedicate. E’ arguto, sagace, teatrale. Si infastidisce se al desco, in modo del tutto inaspettato, si accomoda qualche parente di troppo a fine serata. E’ l’ospite d’onore; almeno così lui si sente ed esige piena attenzione.
Gianni ama il mare, ama le donne, ama la vita, ama il vento. Ed in cerca di mare, di donne e di vento, ha girato l’Italia fino in Sicilia, in sella alla sua motoretta. Scherzando, mi propone una soluzione geniale all’atavica contrapposizione tra nord e sud: portare i trentini in Sicilia e i siciliani in Trentino. Forse ha ragione. Provare a capovolgere lo stivale a testa in giù. Ma così vicino all’Africa i ghiacciai delle Alpi si scioglieranno; questo a lui è sfuggito, preso com’è a raccontar storie con le sue marionette in quel di Milano!
E’ tutta qui la speranza di una vita che si prepara davanti: intorno ad un tavolo di assi di legno ricolmo di cibo.
Vento in barca.
Andatura di bolina. Si va veloci ed obliqui. La pelle nera seccata dal sole. Coraggio c’è voluto ad intraprendere un piccolo viaggio spinti dal vento. Si sa, una vacanza in barca, una piccola barca, rompe amicizie o le rende solide quanto una roccia di selce. Accettiamo la sfida.
Il nostro è Jean, un condottiero della Bretagna: silenzioso, capace ed audace, con quel suo modo di essere lì sempre svestito e scalzo. Impossibile immaginarlo di tutto punto con pantaloni e maglietta.
Delega tutto alla ciurma: parabordi, timone, nuove e brevi rotte da fare. Rimane lì ad osservare. Mi disegna una mappa sul diario di bordo che vado scrivendo, mentre un nastro dei Queen si unisce all’odore salmastro del mare.
E’ già stato sposato. Già divorziato e licenziato dal suo lavoro. Un elenco di fallimenti e di scelte sbagliate. E poi la decisione di affidarsi, per ricominciare, a una vita da marinaio, tutti i giorni col vento. Ha un cuore grande ma lo tiene nascosto.
Anche per lui è fortuna averci incontrati. Condividere pranzi e cene innaffiati dal buon vermentino. E l’atmosfera è talmente speciale da pensare ad una sfida maggiore: una barca più grande che affronti non un piccolo mare, incastonato tra la costa d’Italia e quella di Francia, ma un oceano, l’Atlantico, a raggiungere i Caraibi che, a suo dire, nulla hanno da invidiare alle spiagge rosate dove gettiamo l’àncora.
In un attimo siamo tutti lì in fila, aggrappati a una fune per un idromassaggio marino. Le due donne per prime e i loro mariti a seguire, come a proteggerle a fine cordata. Le coppie di sposi si tengono strette a quel cappio. Sfiorano una grande testuggine che galleggia accanto a loro. Tengono il viso sollevato e sbattuto dagli spruzzi dell’acqua.
La loro promessa d’amore l’affidano al mare e a quel vento, che spinge la barca in avanti e trascina i loro corpi scattanti e felici nell’arco di tempo di una vacanza.
E’ tutta qui la speranza di una promessa d’amore rimasta impigliata tra gli scogli isolani.
Vento di promontorio.
Può definirsi un’amicizia che dura da trent’anni un’amicizia antica? Forse sì. Capace di resistere a tante intemperie. Allora, quella stessa amicizia può essere esposta a quel vento inclemente del promontorio agli inizi della bella stagione.
Una casa di vacanza che ospita un’allegra brigata, variamente composta da gente che si conosce appena e che, ciò nonostante, trascorre insieme dei giorni in un modo corale, con buone assonanze.
Un ricordo di situazioni giovanili quando il tempo era fluido, senza resistenze o cavilli. Accomodante. Grato agli attimi vissuti, senza fughe in avanti. Pieno.
Mentre lo sguardo mio e degli altri converge a guardare quel panorama fantastico di vegetazione nuova, odorosa, libera, intatta, anch’io mi sento intera e capace di godere della vita.
Allora quello è un vento nuovo. Il vento rimasto imbrigliato e prigioniero tra gli scogli isolani, si è liberato. Ha cambiato mare. E’ arrivato sin qua e, adesso, mi scopre la fronte affinché possa guardare di nuovo davanti. Senza paura. Con rinnovato coraggio.
Ce ne ha messo di tempo, ma alla fine è arrivato, a soffiare potente mentre alza le gonne di tutte.
Giungo le mani a conca a catturarmene un po’. Improvviso saggezza: questa volta lo tengo da parte. Custodito in una piccola anfora che poggerò accanto al letto.
E’ tutta qui la speranza di quel che resta da vivere: una nuova consapevolezza.
Prendo l’anfora e disperdo un soffio di vento che raggiunga tutte le cose. Tutte le persone che ho amato. Che raggiunga te, te ed ancor te.
E poi te amore nuovo.