Schiaffi di lei

Lei mi è mancata tanto. Guardavo fisso in avanti, mentre la strada sembrava stringersi a mo di imbuto all’orizzonte. Il motore della macchina faceva da sottofondo all’immagine di Lei che cercavo di disegnare tra tinte pastello e profumi inebrianti. In quel momento la mia mente aveva indossato i panni dell’artista che ispirato dal pensiero della donna amata, ma lontana, comincia a trascrivere i propri sentimenti. Pennellate di colori vivi armonizzavano la tela: i suoi inediti profumi, il suo essere “amica” ne facevano da cornice. Era provare lo stesso stupore di quando, dopo anni e anni, riapri il baule dei ricordi in cui la mamma ha conservato i giocattoli dell’infanzia. Era tornare all’età di quindici anni, al periodo delle vacanze estive, quando, seduto su uno scoglio, la fissavo mentre srotolavo pensieri e riflessioni come fossero matasse.

Tutto era oramai passato. Il tempo è il più bravo corridore del mondo: fugge  marcando il suo cammino con lo strascico dei ricordi che creano stormi nella memoria.

Avrei tanto voluto respirare un minuto di Lei durante la mia permanenza a Kabul. Dieci anni di fiato sospeso. La guerra aveva cancellato tutto con estrema facilità, come se quel tutto fosse scritto col gessetto su di una lavagna. Un cimitero di sorrisi, di odori e di speranze.

Eccola, la vedo. Il suo corpo è quello sinuoso di un tempo: le alture di Cagnano Varano, Ischitella, Vico del Gargano, le colline “siamesi” di Carpino.

La sua immagine si faceva sempre più nitida man mano che mi avvicinavo. Osservandola con più attenzione, scorsi una nota di tristezza sul suo viso: era come se il sole col suo calore, stesse pian piano sciogliendo una patina di cera e mi facesse maggior chiarezza. I suoi occhi erano diversi, non avevano più il colore del cielo. Gli impianti ittici hanno coperto il blu con una fitta macchia verdastra in cui i pois bianchi del cielo non riescono più  a riproporre il loro candore specchiandosi. Tinti di nero, i capelli secchi e arsi raccontano invece, di una terribile violenza subita nei mesi roventi dell’anno. Non riesco più a dire il colore di quel manto verde che un tempo indossava.

Il suo nome è Terra…Terra Garganica… e quel giorno il suo silenzio ha fatto tanto rumore dentro di me.

 

Caccavelli Myriam

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