Premiati XIII° ed. – Sezione Prosa

1º PREMIO: “Abbracciami Prof” – Federico Giagnorio

«E parlerò di te quando mi chiederanno di raccontare la mia vita» le disse con voce piena di orgoglio.
Tese le mani per invitarlo tra le braccia, poi lo strinse forte al petto e in quel silenzio fatto di respiri e battiti sussurrati, una lacrima le rigò il volto.
Nello spazio di un abbraccio gli aveva insegnato ad amare, ad amarsi, a dare voce ai suoi pensieri, a riconoscere le emozioni e percorrere strade che non limitassero la sua essenza.
Inclinò il capo all’indietro e sorrise, lui ricambiò. Osservò le fossette che gli scavavano le guance ben pasciute, poi lo salutò, conscia potesse non ripetersi più quel momento.
La notte la portò via con sé.
«La Prof non c’è più, è volata in cielo» gli dissero quella mattina.
Venne sommerso da un diluvio di emozioni. Avevano un posto per essere accolte tutte, ma adesso non trovavano casa.
Si era spaccato il cielo.
Salì più in alto che poté per tenerla vicino. S’arrampicò sulla balaustra e spalancò le braccia.
«Abbracciami ancora, Prof» sussurrò con voce pavida.
Gli occhi serrati strizzarono una lacrima che la brezza sul volto riportò su.
Poi il buio.
Lasciò il corpo e se ne andò dal mondo.


2º PREMIO: “Disperazione”- Duilio Paiano

Mi guarda con gli occhi dello stordimento che pur regalano bagliori d’orgoglio e dignità.
Dev’essersi appena svegliato: s’appoggia, stanco e rassegnato, al porticato della stazione ferroviaria. Sparuti oggetti che la vita ancora gli concede giacciono ai suoi piedi: una coperta stinta e polverosa, una bottiglietta d’acqua mezza vuota, qualche fazzolettino di carta sgualcito.
Nel frettoloso andirivieni della stazione le persone lo scansano, l’ignorano. Con indifferenza, quasi con disprezzo.
Con un cenno chiede che m’avvicini, vuole che gli accenda una sigaretta, a stento tenuta in equilibrio tra le dita tremolanti delle mani. Le poche parole che riesce a pronunciare tradiscono la lontananza delle sue origini.
Durante la fredda notte sotto i portici, balordi senz’anima gli hanno portato via i cartoni che lo riparavano. Non è arrabbiato, non ce l’ha col mondo: non è la prima volta che accade, non sarà l’ultima.
S’allontanano verso l’alto volute di fumo che avvolgono l’ebano del suo viso scarno. Le accompagna con sguardo trasognato e malinconico: si portano via lampi di vita vissuta, fotogrammi d’intimità familiare.
Un nuovo giorno sta per cominciare, scialbo e disperato come gli altri.
M’allontano, turbato, e con la mano m’invita a ritornare. Forse domani. Forse per un’altra sigaretta. Forse… Chissà…


3º PREMIO: “Vivo” – Costantino Piemontese

Non ho paura.
Non temo più che m’accada qualcosa.
Sono tornato, da Velia; e da Giancarlo, Matteo e Isabella.
Sono pure tornato, a Montecitorio. Oggi.
Ma, prima, ho camminato da Uomo Libero per il Lungotevere Arnaldo da Brescia; l’ho percorso, a ritroso, fino al tratto tra via Mancini e via Scialoja.
Ho sostato nel punto in cui i fascisti m’afferrarono e mi portarono via, bastonandomi pugnalandomi spezzandomi nel corpo; ma non nell’animo.
Ho poi proseguito fino a via Pisanelli.
Sulla soglia di casa m’aspettava Velia, moglie mia, coi piccoli Chicco e Bughi attaccati a lei, e con Isabella al petto.
Siamo entrati a casa, insieme.
Velia disfa la mia valigia: “Ora che ci sei, siamo una famiglia. Giacomo, quando eri lontano li ho immaginati vivi i tuoi abiti. Li ho conservati come reliquie”, sussurra.
Chicco disegna barchette sull’azzurro, Bughi gioca con la palla a spicchi colorati, mentre Isabella gattona sul tappeto mostrando i dentini in crescita.
L’Aula di Palazzo Montecitorio è esplosa in un applauso, al mio ingresso nell’Emiciclo che avevo lasciato il 30 maggio di 100 anni fa.
Ho preso posto nel mio Scranno.
Alzatomi, ho detto a testa alta: Colleghi, e Cittadini italiani, abbiate coraggio.
Vivo.


MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA

“Gocce di Luna” – Carla Cipriani

Mi hanno detto che la Luna dimora sempre nel cielo, ma io aspetto la sera per guardarla dalla finestra, perché so che si accorge di me.
Nel suo sacro e salvifico silenzio, cerca la luce dei miei occhi e accoglie, paziente e generosa, i racconti della mia anima.
Sa che nella mia attesa corre inesorabile il tempo del giorno.
Io lo inseguo per afferrare la sua evanescenza, mentre ascolto il canto lirico dell’esistenza, il cui andirivieni di mete e auspici adesso non mi appartiene.
Cerco di risalire gli abissi in cui sprofondo e negli angoli colmi di solitudini si rifugiano i singulti e i deliri, come lucciole tra viluppi gelidi di trame inaccessibili.
La lima dei pensieri consuma la mia umanità.
Sento il fragore di cascate di pioggia, stasera: non vedo la Luna.
Non c’è una sola gocciolina uguale all’altra sui vetri della finestra, non sono amare come quelle che curano la mia mente inferma.
Mi sembrano tanti diamanti su questa lastra che mi aliena dal mondo.
Apro la finestra e affondo i polpastrelli in quelle minuscole pozzanghere.
Aspetto ancora, che smetta di piovere e che le gocce diventino dolci, per rivedere la Luna e raccontarle storie nuove.


“Il primo giorno” – Simonetta di Benedetto

Il cancello si chiuse alle sue spalle e si trovò al centro del corridoio. Era abbastanza buio e l’odore della muffa si percepiva misto all’ odore del caffè. Si aprì anche il secondo cancello ed alcuni occhi si affacciarono dallo spazio centrale della porta. Marta si sentiva a disagio nei suoi abiti da boutique e cercava di sciogliere l’imbarazzo sorridendo con un ghigno innaturale. Cosa le sarebbe successo? Come l’avrebbero accolta?
Anche il secondo cancello si chiuse alle spalle con un rumore stridulo. Il tintinnare delle chiavi rimbombava insieme al suono dei passi.
Mentre percorreva il corridoio immaginò scene con svariati finali fino a che il suo nome riecheggiò nella stanza. “Venga da questa parte”!
Il buio era sempre più fitto e le voci in lontananza suonavano insieme ad una radio appoggiata alla finestra.
La stanza era di colore grigio sbiadito e le mura avevano ferite di umidità ed intonaco bianco.
“Ben arrivata prof.”.. Si trovò davanti una ventina di uomini, di colori e accenti diversi che le sorridevano. ,,Balbettò un grazie, si sedette e venne avvolta negli occhi, nelle vite e negli spazi delle anime che cambiarono la sua vita.


PREMIO “RADICI E TERRITORIO”

“Il nostro caldo” – Rosa Serra

È arrivato il caldo, “il nostro caldo” totale, impietoso, senza incertezze,
Nessun venticello, brezza, zefiro, refolo, soffio a mitigarlo.

È un sole che a mezzogiorno fa rasentare i muri per cogliere l’ombra che, pietosa, scende dai balconi fioriti. Caparbio, mi accende ricordi lontani indimenticati, mescolati a nostalgiche gioie.
È quel sole che finita la scuola, splendeva sulla mia adolescenza e sul girovagare mattutino senza meta, incuranti della temperatura in salita, a gustare con le giovani compagne, il gelato al limone e le prime tanto attese libertà, in un tempo che allora mi pareva sempre azzurro ed infinito.
A sillabare le nostre ore, c’era il canto monocorde e stridente delle cicale che ci inseguiva ossessivo dappertutto, intervallato da improvvisi silenzi e da altrettante fulminee riprese.

Oggi ho risentito sulla pelle, sugli occhi quell’identico caldo e in alcuni momenti anche il suo particolare odore di polvere, paglia e spighe mature.
E’ un profumo acre che, pur senza vento, giunge ugualmente e misteriosamente dai campi di grano ormai lontani dalla città, che attendono, pazienti, la benedizione di Sant’Antonio.

Ma forse è soltanto un’allucinazione olfattiva.
I ricordi, si sa, ammaliano e lo fanno con gli odori che struggenti si intrufolano sediziosi a scompaginare l’animo.

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